Review Party: Recensione di “Il diritto di opporsi” di Bryan Stevenson

« Quando consentiamo che gli altri vengano maltrattati siamo tutti coinvolti. L’assenza di compassione può corrompere la dignità di una comunità, di uno Stato, di una nazione. Finché tutti soffriamo della mancanza di pietà e condanniamo noi stessi tanto quanto rendiamo vittime gli altri, la paura e la rabbia possono renderci vendicativi e violenti, ingiusti e scorretti.  »

Attraverso la sua opera, “Il diritto di opporsi”, l’autore fa un’esamina minuziosa della storia dell’incarcerazione dal momento in cui lui, per primo, ha a che fare con un prigioniero la cui condanna a morte è stata posticipata di almeno un anno. Quel primo incontro è per lui illuminante e sorprendente, e lo spinge a continuare sulla strada della Legge, ma soprattutto a inseguire i diritti umani che questo comporta. Le pene capitali Americane sono brutali, retrograde e ingiuste soprattutto agli occhi di chi ha vissuto in un paese dove la morte per i crimini non è contemplata. Lui però ha sempre vissuto in una realtà in cui questo è normale, ma non così tanto come parrebbe.
Al fianco di questa tematica, Stevenson vive inoltre la lotta al razzismo, che può toccare con mano essendo lui nato con la pelle di un colore che ha sempre suscitato il pregiudizio di tanti e le reazioni violente di molti, più di quanti se ne possa quantificare. L’autore fa di tutto questo una ragione di vita e lotta ogni giorno per rendere umano un sistema giudiziario che non riflette l’umanità, la carità, la fiducia nel prossimo. L’avvocato cerca di denunciare i sotterfugi per incastrare un imputato, la falsificazione di prove, i cavilli a cui aggrapparsi sia per accusare che per difendere, su un costante filo del rasoio che trasmette ogni istante di tensione e timore per il futuro.
“Il diritto di opporsi” è una riflessione sul significato di essere umani e il tutto viene trasmesso attraverso un linguaggio alla portata di tutti, senza esagerare con tecnicismi che solo gli “addetti ai lavori” possono davvero capire. Questa è un’opera per tutti e che tutti dovrebbero leggere almeno una volta, nonostante un ritmo lento dato dall’analisi minuziosa della storia stessa. Non è una storia semplice da seguire, richiede molta concentrazione e impegno, ripagati alla fine da un senso di speranza che potrebbe davvero cambiare il modo di pensare generale e incoraggiare a non abbassare la testa di fronte alle ingiustizie.

Review Party: Recensione di “Eugenia” di Lionel Duroy

« Per un periodo la scrittura l’ha salvato, pensava che fosse quella cosa tanto attesa, tanto sperata che lo avrebbe sostenuto, che gli avrebbe per sempre dato la voglia di vivere. E poi invece il miracolo non è durato. La scrittura l’ha entusiasmato quando scriveva i suoi primi romanzi, all’inizio degli anni Trenta, ben prima di dedicarsi al teatro, ma non gli ha portato nessuna tranquillità, e men che meno felicità »

A cavallo della seconda guerra mondiale, lo scrittore Mihail Sebastian ripercorre le ingiustizie e le vicende che caratterizzano la situazione antisemita della Romania. Non è un compito facile quello che si assume, ma può contare sull’incredibile appoggio di una straordinaria donna, Eugenia, che mette in discussione la sua intera vita per un ideale molto più alto di qualsiasi precetto. Con la morte del giornalista, la donna si trova sola con un dolore straziante che la riporta inevitabilmente nel passato, a quegli anni di terrore che non possono davvero essere dimenticati.
Lionel Duroy ha saputo con successo riportare con chiarezza e precisione uno spaccato degli anni Trenta che mostra un punto di vista totalmente differente e interessante rispetto a storie con tematiche del genere più “classiche”. Lo fa attraverso la spiegazione di un quotidiano difficile da vivere e con gli occhi di personaggi realistici e forti. Eugenia, frutto della mente dell’autore, affianca Sebastian andando contro la sua famiglia, gli insegnamenti, i discorsi tremendamente razzisti e un futuro con ottime prospettive. Non è semplice questo cambio di posizione, tanto da sorprendere lei stessa, per la forza e la determinazione che oltre le sue aspettative l’hanno accompagnata in questo percorso.
“Eugenia” è un libro che sa appassionare attraverso la passione dello stesso autore, che dettaglio dopo dettaglio costruisce un puzzle di avvenimenti tanto oscuri quanto ricchi di speranza, fino a regalare ai lettori una storia da leggere assolutamente.

Review party: Recensione di “Storia della nostra scomparsa” di Jing-Jing Lee

« Lasciavamo i porci liberi di scorrazzare per il villaggio, come fa la gente oggi con i cani in giardino. I porci sono come le persone: metà buoni e metà diavoli. »

Wang Di vive la sua infanzia e giovinezza a cavallo della seconda guerra mondiale. Un brutto periodo in cui nascere e crescere, perché qualunque cosa può strapparti alla tua felicità. Purtroppo, il destino della ragazza si rivelerà ben presto crudele, quando è costretta a lasciare la sua famiglia per diventare “donna di conforto”, schiava dei militari nemici, costretta a subire ogni loro desiderio senza il suo consenso.
Wang cresce circondata dagli orrori con il nome di Fujiko, e quando la guerra finisce cerca di affossare tutto in un angolo dei ricordi: non ne dovrà mai parlare con nessuno, nemmeno con il futuro marito. Quando questo muore, lei ormai anziana rimane sola a fare i conti con i fantasmi del passato che riemergono svelando una realtà che ancora adesso si fa di tutto per affossare.
Con una scrittura delicata ma estremamente decisa ed emotiva, Jing-Jing Lee cerca di raccontare una storia che possa denunciare la situazione tragica delle “comfort house”, un dramma che ancora adesso il Giappone tenta di nascondere, ma che per fortuna sta sempre di più uscendo allo scoperto anche grazie a scrittrici coraggiose come lei.
L’opera descrive non solo la difficoltà di rimanere umani in periodo di guerra, ma anche e soprattutto essere donna in quegli stessi anni. Wang Di è nata in un contesto dove concepire un maschio era fondamentale e in cui lei poteva sopravvivere soltanto secondo i dettami dell’epoca. Eppure, non sembra mai perdere quella purezza che la caratterizza in ogni pagina, da quando era solo una neonata in fasce fino alla vecchiaia. Ricordare è molto doloroso, ma è un modo che la donna ha per riappropriarsi della propria identità e per confortare, in qualche modo, la sua vita da Fujiko.
“Storia della nostra scomparsa” è un romanzo potente e inaspettato, che scava nelle coscienze, fa riflettere e si pone come obiettivo il più nobile e sempre più difficile da realizzare: insegnare al presente il passato per far sì che non si ripeta in futuro.

Review Party: Recensione di “Fuga di morte” di Sheng Keyi

« In quel momento videro degli uomini che si tenevano sottobraccio allineati in un fronte compatto che avanzava come un bulldozer, gettando urla brevi ed energiche a intervalli regolari. Una decina di metri dietro, un altro fronte di uomini procedeva nello stesso identico modo. Quando ebbero spazzato via tutti, la strada divenne deserta, baciata dal sole placido del pomeriggio. In lontananza, il cielo sconfinato. »

Tutto ha inizio con una montagna di escrementi. Non in senso metaforico, come spesso capita, ma del tutto letterale. Questo è un atto osceno per Beiping e lo Stato di Dayang tutto, che da quel momento si troverà a dover contrastare le proteste e i movimenti capitanati dagli intellettuali e i poeti, volti a non piegare la testa di fronte ad un governo ingiusto e irrispettoso, volto solo al profitto e dimenticandosi dell’umanità.
Il poeta Yuan Mengliu non vede motivo di immischiarsi nel fervore generale, nonostante venga trascinato dagli amici e dalla fidanzata Qi Zi che da quel momento hanno un solo scopo: fare una rivoluzione. Quando però la donna scompare dalla sua vita, per Yuan ha inizio un viaggio impegnativo, soprattutto per la sua formazione, che lo porterà fino alla Valle dei Cigni: città dove tutto è perfetto, in modo esageratamente inquietante, in cui i problemi non esistono e la robotica ha avuto un’evoluzione esponenziale. Davvero è possibile vivere in un mondo fatto così?
“Fuga di Morte” è la storia di un profondo contrasto emotivo, dato dall’essere in mezzo a due fuochi e quindi in un’eterna indecisione tra cosa si dovrebbe e cosa si vorrebbe fare davvero. Ci troviamo di fronte ad un protagonista controverso: egoista, depresso, il più delle volte antipatico e insensibile, tanto da non sentire sua la causa dei suoi concittadini. Al tempo stesso, Yuan dà un’importanza spropositata all’amore in ogni sua forma: essere poeta lo fa sentire vivo e libero di potersi esprimere al suo meglio.
Il suo personaggio è in contrapposizione alla figura di Qi Zi, una sorta di suffragette contemporanea che porta avanti con intaccabile determinazione un ideale nobile, nonostante sia arduo da raggiungere.
Sheng Keyi fa trasparire attraverso la sua storia d’invenzione le ingiustizie protratte durante le rivolte di piazza Tienanmen nella Cina del 1989, un fatto storico significativo per la nazione ma non sempre ricordato, soprattutto all’esterno.
La letteratura cinese fa ancora molta fatica a sbancare, rispetto a quella di altri stati e devo dire che questa scrittrice merita di essere conosciuta, per il tono graffiante utilizzato come monito e per lo studio e l’impegno impiegato nella scrittura. 
“Fuga di morte” è una lettura appassionante, intensa e insolita, che può ricordare pietre miliari della letteratura come “1984” di Orwell offrendo però spunti di riflessione moderni. L’ho amato dalla prima all’ultima pagina, soprattutto per la svolta distopica che mai mi sarei aspettata e che rispecchia perfettamente ciò che ormai per noi è storia realmente accaduta. 
Ha in sé un vero insegnamento: portare avanti con forza e coraggio un ideale e perseguirlo anche nelle situazioni più drammatiche.

Review Party: Recensione di “Le disavventure di Amos Barton” di George Eliot

« Quelli erano tempi in cui un uomo poteva mantenere tre piccoli benefici, affamare due curati con due di essi, e vivere stentatamente egli stesso del terzo.  »

Al confine con Milby, il piccolo paesino di Shepperton si regge fondamentalmente attorno alla propria chiesa, punto di ritrovo di tutti coloro che vivono lì da sempre. Qui, il Reverendo Amos Barton ne è la nuova guida spirituale, ligio al dovere di diffondere i dettami della chiesa Anglicana. Amos cerca di vivere ogni giorno in un clima di tranquillità, nonostante le condizioni economiche non proprio favorevoli e alle difficoltà che questo comporta, soprattutto quando bisogna far fronte ai bisogni della numerosa famiglia. Tutto inizia a precipitare quando, ovviamente senza malizia, decide di ospitare in casa propria la Contessa Czerlaski.
Con uno stile preciso e pulito e una narrazione a tratti drammaticamente ironica, l’autrice Mary Anne (sotto pseudonimo) presenta una breve storia di vita quotidiana che approfondisce la vita rurale di un piccolo paesino di provincia, animato per lo più da piccoli scandali che sanno far parlare di sé alimentando e ingigantendo la situazione più di quanto in verità non sia.
Le similitudini con altre famose famiglie di opere appartenenti sempre all’epoca vittoriana sono evidenti, ma nonostante questo Eliot riesce a mantenere dei suoi personaggi una freschezza e un’originalità incredibili, che rendono la sua Shepperton realistica e unica. Il protagonista, Amos Barton, è un uomo sorprendentemente ordinario che si ritrova invischiato in situazioni più grandi di lui senza però volerlo davvero. L’abilità vera dell’autrice sta nella capacità di far trasparire i problemi oltre la vista dei personaggi, facendo sinceramente interessare e preoccupare il lettore della situazione della famiglia Barton. Il suo realismo ordinario è il vero punto di forza delle sue opere: riuscire a far scaturire la curiosità attraverso una comune giornata, apparentemente uguale alle altre.
CHI È MILLY BARTON

Uno dei personaggi ricorrenti nel libro è sicuramente la figura di Milly Barton, la consorte del Reverendo Amos Barton. Nonostante da parte dell’uomo non spicchi amore o affetto, Mrs Barton gli è totalmente devota e trascorre le giornate come la perfetta donna di casa, pensando alle specifiche faccende e al sostentamento di ben sei figli.
Non ha interessi particolari, se non una predilezione per gli abiti e i tessuti pregiati, con cui si diletta amatorialmente nella carriera di sarta provetta.
L’incontro con la Contessa Czerlaski rappresenta anche per lei un punto di svolta, necessario per evadere dalla monotonia e per poter godere un minimo del piacere di avere conversazioni “femminili” con un’altra donna. Per questo, Milly sente una genuina amicizia nei confronti della Contessa, che invece si rivela una donna spietata e opportunista, capace di piegare ogni situazione al proprio volere e trasformando in servi tutti coloro che le ruotano attorno.
Mrs Barton è ingenua e pura, forse più di Mr Barton, che infonde nel lettore tristezza e pena nei suoi confronti, soprattutto per come le cose finiranno per lei. Eppure, cerca di vivere al meglio delle sue possibilità, cercando di vedere il buono in tutto, sia nelle persone che nelle oggettive difficoltà.
A lungo andare, il suo essere una donna come altre le fa acquisire un certo spessore, che la rende agli occhi del lettore un personaggio che non si può dimenticare anche dopo la lettura.