Visione: “Death Note”, la recensione del film targato Netflix


« Il karma è una puttana. »

Mettiamo subito le mani avanti: se volete conoscere la vera storia di “Death Note” recuperatevi l’anime oppure il manga. Perché se pensate di guardare questo film convinti che possa darvi un motivo per informarvi maggiormente sull’opera originale siete totalmente fuori strada.
Il film diretto da Adam Wingard non ha bisogno di una vera presentazione: il giovane Light Yagami (occidentalizzato in Light Turner) entra in possesso del maledetto quaderno della morte, arma con cui inizia ad uccidere i criminali per ripulire il mondo dal marcio umano. Potete vedere il trailer nel mio precedente post a riguardo. 
Ricordo ancora con rammarico il briciolo di speranze che avevo nutrito per questa pellicola: probabilmente sono stata l’unica persona, senza considerare chi, per il film, ci ha lavorato. 
Dirò di più: mi sono sforzata di andare oltre la prima scena che già aveva iniziato a farmi venire il raccapriccio.
Trovarsi di fronte ad un Light impulsivo e attaccabrighe anziché taciturno, riflessivo e calcolatore mi ha sinceramente spiazzato, così come lo sconvolgimento di tutti gli altri personaggi. Ma ho comunque deciso di assecondare il cambiamento, mettendomi nell’ottica di una trasposizione occidentale di un’opera che ha origine da una mentalità orientale. Questo è necessario sottolinearlo: la riflessione che sorge spontanea riguarda l’interpretazione di una stessa situazione calata in un determinato contesto (e cultura) piuttosto che in un altro. Un tassello che poteva essere sinceramente interessante da vedere, ma che si rompe ancor prima di svilupparsi.
Così, Light incarna lo stereotipo del giovane americano allo sbando, pronto a fare sciocchezze per attirare l’attenzione della fidanzata di turno. Non si tratta di giustizia né di eroismo: l’eccitazione e il divertimento di sentirsi potente con e per la propria ragazza la fa da padrone.
Il risultato? Una storia thriller con un potenziale enorme che viene trasformata in uno scadente teen drama dalle pessime e inappropriate canzoni di sottofondo.
Non è possibile empatizzare con la complicità tra Light e Misa/Mia, perché risulta finta ed eccessivamente melodrammatica, nonostante l’interpretazione di Margaret Qualley sia di poco sopra a quella di Nat Wolff. Il nonsense, purtroppo, raggiunge anche L, forse il personaggio più emblematico e amato dai fan. Se inizialmente la recitazione di Keith Stanfield sembri funzionare, rivelando alcuni elementi tipici dell’originale, scade vertiginosamente (a causa della sceneggiatura, non dell’uomo) nell’ultima mezz’ora di film, in cui si lancia in ridicole scene d’azione ed inseguimento spinto dal puro senso di vendetta. Questo comportamento non solo è diverso da quello del vero L, ma è addirittura incoerente con la rappresentazione del personaggio dello stesso film: la filippica sull’addestramento per diventare il detective migliore del mondo fin dalla tenera età ne è la lampante prova.
Purtroppo non scampa al disastro nemmeno lo shinigami Ryuk, interpretato dal meraviglioso Willem Dafoe, che probabilmente si sarà fatto una sana risata per poter stare allo scherzo in cui, forse per errore, è stato coinvolto. Il continuo mantenere il personaggio in penombra o fuori fuoco, come a non volerlo mostrare davvero al pubblico, ha reso irritante ogni sua apparizione, tanto da farmi preferire la computer grafica del Ryuk dei film orientali.
Per il poco in cui compare, Dafoe rimane il talentuoso attore che tutti conosciamo, riuscendo senza alcuno sforzo a fare il proprio lavoro, con professionalità e impegno.
Ancora una volta siamo di fronte ad un prodotto con una grande capacità ridicolmente sprecata, in cui gli elementi chiave dell’opera giapponese vengono solo accennati e riutilizzati a piacimento del regista senza seguire una logica, smorzando la tensione e arrivando ad annoiare lo spettatore.
Non sono in grado di mettermi con lucidità nei panni di chi l’opera originale non la conosce, sarei quindi curiosa di avere un parere da parte di chi non sa nulla sull’argomento.
La speranza iniziale si è trasformata in amarezza che, per mia fortuna, scivolerà via molto presto.

Death Note: trailer e data d’uscita per il film targato Netflix

« In fondo l’ho sempre pensato… questo mondo fa schifo. »

Improvvisamente, un quaderno cade dal cielo e finisce sulla Terra.
Un ragazzo lo raccoglie.
Sulla copertina, una scritta: “Death Note”.
Questa scena mi fa tornare indietro di una decina d’anni, quando Mtv era ancora un canale di musica e il martedì sera trasmetteva “Anime Night”, un appuntamento fisso grazie a cui ho sviluppato la mia passione per l’animazione giapponese.
L’anno scorso, la piattaforma Netflix ha annunciato la produzione dell’adattamento a film di “Death Note”, opera scritta da Tsugumi Oba e disegnata da Takeshi Obata. La serie manga viene pubblicata dal 2003 e portata in Italia tre anni dopo dalla casa editrice Planet Manga. Dal 2016 viene inoltre creata una serie animata, formata da 37 episodi e disponibile anche in italiano.
In poco tempo e nonostante le tematiche controverse, “Death Note” diventa un fenomeno a livello mondiale, con diverse opere derivate tra cui due live action di produzione giapponese, musical e videogiochi.

La storia è incentrata sulla vita dello studente modello giapponese Light Yagami, il quale entra in possesso di un quaderno dai poteri straordinari: il Death Note (quaderno della morte), che ben presto si rivela essere una vera e propria arma.
Citando la prima regola: “L’umano il cui nome verrà scritto su questo quaderno morirà”.
Affiancato dallo shinigami Ryuk, Light prende l’identità segreta di Kira e si dichiara difensore dei più deboli, iniziando ad uccidere i criminali più sanguinari per rendere il mondo un posto migliore. Le cose per lui si complicheranno, quando l’investigatore L si metterà sulle sue tracce, seguendo la scia delle misteriose morti.
Chi riveste davvero i panni della giustizia?
Contrastanti sono state le opinioni, già di fronte alla presentazione del cast: una decisione che ha fatto scalpore su tutte, è sicuramente la scelta dell’attore Keith Stanfield per il ruolo di L, in quanto il personaggio originario non ha la pelle scura.
Che ci sia l’intenzione di rendere l’opera più occidentalizzata può anche essere accettabile, ma il timore generale è che venga attuato uno stravolgimento tale da distorcere la storia creata dai due mangaka.
Pochi giorni fa, è stato rilasciato il trailer (sia in inglese che in italiano), che riporta come data di uscita il 25 agosto.
Nonostante gli insensati capelli ossigenati dell’attore, questi 55 secondi sono riusciti ad emozionarmi e incuriosirmi, come quando vidi per la prima volta l’episodio pilota trasmesso in televisione.
Non vedo l’ora di capire come Adam Wingard abbia strutturato il film e cosa verrà rappresentato, sperando che la decisione di accorpare tutta la storia in due ore (almeno, così parrebbe dalle notizie rilasciate) sia stata studiata nei minimi dettagli.

Visione: “One-Punch Man” di ONE e Yusuke Murata

« “Ma chi è, un eroe?”
“Con quella testa?” »

Uno degli intrattenimenti che reputo spassoso, è la visione di anime: termine che indica l’animazione giapponese.
Quello che presento è un anime divertente e godibile: “One-Punch Man” di ONE.

Titolo: “
One-Punch Man”
Categoria: Seinen
Genere: Azione, Commedia, Supereroi, Soprannaturale
Paese: Giappone
Tratto da: Manga
Stagioni: 1
Episodi: 12
Status: IN CORSO

Nato prima come web-comic, poi trasposto in manga grazie al disegnatore Yusuke Murata, l’opera del mangaka ONE segue le vicende di Saitama: ragazzo con l’ambizione di diventare un eroe.
Per raggiungere il suo obiettivo si sottopone a quello che lui definisce “assiduo e costante allenamento” che lo porta come primo risultato a perdere i capelli.
Passati tre anni, Saitama ottiene una strabiliante forza che gli permette di sconfiggere i nemici colpendoli con la potenza di un solo pugno. Ma, oltre qualsiasi aspettativa, il nostro eroe non si sente orgoglioso né avvantaggiato: inizia a nutrire sempre di più un senso di frustrazione e insoddisfazione nel non riuscire a incappare in sfide capaci di stimolarlo e farlo sentire vivo.

In un mondo in cui le città sono suddivise per lettere e gli attacchi di mostri sono all’ordine del giorno, viene fondata l’Associazione degli Eroi, gerarchicamente suddivisa per classe: chiunque passi le selezioni può vedersi riconosciuto il servizio di eroe come una vera e propria professione.
Per scampare dall’apatia, Saitama, insieme (suo malgrado) all’allievo Genos, s’iscrive con successo. Ma il ragazzo fa l’eroe come hobby e ogni qualvolta che trae in salvo la città non c’è nessuno che possa testimoniarlo. Riuscirà a mantenere il proprio posto e a scalare le vette fino ai primi posti della fantomatica Classe S?
Il lato comico della trama è dato soprattutto dagli atteggiamenti del protagonista: le reazioni poco ortodosse e la mancanza di preoccupazione di fronte ai rischi sono unite alla sua faccia inespressiva, per cui non si può fare a meno di sorridere, se non ridere a crepapelle.
I personaggi che man mano vengono presentati hanno tutti una caratteristica di spicco, per cui è facile potersene ricordare anche dopo un solo episodio.
Ho apprezzato molto il profilo di Saitama, atipico rispetto alla maggior parte dei protagonisti di questo genere. 
La prima stagione dell’anime deve essere considerata una sorta di introduzione a quella che potrebbe essere la vera e propria storia. Sarebbe interessante capire, per esempio, se la forza acquisita da Saitama è data effettivamente dai soli allenamenti quotidiani.
La seconda stagione dovrebbe uscire nei prossimi mesi, personalmente sono in trepidante attesa.
L’anime è disponibile in italiano edito da Dynit, il cofanetto è acquistabile su Amazon.