Review Party: Recensione di “Il quaderno delle parole perdute” di Pip Williams

Tutti, bene o male, abbiamo sentito parlare o anche solo nominare l’Oxford English Dictionary, il dizionario più famoso al mondo. Ma qual è la sua storia, quali sono le sue origini? Questa è la storia di Esme e di come ha preso parte alla squadra di James Murray per la realizzazione di uno dei progetti più vasti mai realizzati.

Nel romanzo di Pip Williams, le protagoniste assolute sono proprio loro: le parole. Un argomento base come quello raccontato tra queste pagine si trasforma in una vicenda magica e unica, che tiene incollati dall’inizio alla fine.

Quella della giovane Esme è una storia ricca di passione e dedizione, sensazionale per il risultato finale ma non senza una dose non indifferente di difficoltà. Con la Williams s’impara a conoscere realmente le parole, che mutano con il trascorrere del tempo, esattamente come l’evoluzione di qualsiasi essere vivente. Fin da bambina, Esme colleziona i termini che sembrano dover essere dimenticati o mai spiegati, per portarli alla luce nel momento giusto e rendere loro giustizia. Le parole hanno un’anima e l’autrice fa passare questo concetto con uno stile di scrittura emotivamente travolgente, che eleva una storia apparentemente arida di contenuti a pregna di sentimenti e lezioni da impartire.

Le parole non appartengono a nessuno. Devono essere libere di venire diffuse, senza essere di proprietà solo di un genere o l’altro, piuttosto che di un ceto migliore degli altri. Esme è una donna e come tale deve capire subito qual è il suo posto: all’ombra degli uomini, proprio come le parole che dovrebbero essere calpestate e cancellate. Si prende quindi in carico una missione affatto facile: salvarsi per salvare tutte le donne e contestualmente le loro parole che rischiano di essere eliminate per sempre.

Il periodo di tensione storica viene quindi accentuato accuratamente dalla specifica vicenda, adattandosi alla perfezione in un momento delicato ma fondamentale per avviare la macchina che renderà le donne reali, indipendenti sotto i riflettori della società. Gli approfondimenti lessicali, inoltre, sono una manna interessante che va ad arricchire il personale bagaglio culturale.

La Williams, inoltre, affronta i sentimenti umani trasferendoli direttamente nelle parole stesse, portando in parallelo ciò che provano i personaggi umani e ciò che viene scritto su carta. Ha dell’incredibile la potenza che questo concetto sprigiona, fuoriuscendo dal libro e appiccicandosi alla pelle. Esme impara che è vitale che vengano ricordati non solo i termini positivi, ma anche quelli negativi, come “schiava”, “guerra”, “morte”. Parole non dette e significati o perduti o mai davvero coniati, rendono “Il quaderno delle parole perdute” un romanzo vivo, di cui desideri leggere e rileggere ogni particolare, per innamorartene sempre più.

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