Recensione: “Antropozoologie. Studio verosimile di una realtà grottesca” di Biagio Iacovelli

Scrivere con successo a proposito degli aspetti della natura umana è un compito che ritengo molto più arduo di quanto possa sembrare in apparenza.
Non è semplice, perché spesso si possono dare per scontati certi elementi che scontati non lo sono affatto. Non è semplice, perché spesso si può correre il rischio di sembrare banali, ripetitivi e poco incisivi.
Ma in questo, Biagio Iacovelli è riuscito a conquistarmi. 
Il viaggio metafisico che il lettore intraprende attraverso i racconti che compongono “Antropozoologie. Studio verosimile di una realtà grottesca” è costellato di situazioni limite, spesso particolarmente fantasiose, ma che non mancano di lanciare dei messaggi nascosti che rimangono anche dopo aver finito la lettura.
Di fronte ad alcune descrizioni viene naturale distogliere lo sguardo con imbarazzo, o addirittura con orrore, talmente è forte l’impatto emotivo. Questo viene avvalorato dalle illustrazioni di Eleonora Iacovelli, che nella loro essenzialità trattengono una carica di sensazioni che esplode attraverso le parole.
Lo stile di Iacovelli è scorrevole e al tempo stesso ricercato, fa in modo che il lettore si soffermi su ogni parola per saggiarne il significato e, eventualmente, imparare qualcosa di nuovo.
I racconti più degni di nota sono sicuramente “La festa”, “La giostra” e “…e alla fine?”. I primi due citati sono testi pregni di un’atmosfera cupa, inquietante e a tratti dolorosa, ambientati in molteplici realtà a cavallo tra il moderno e il distopico che domandano al lettore: “Succederà davvero?”. Il terzo, come suggerisce il titolo, è l’ultimo della raccolta e che è stato utile a tirare il fiato a fronte della pesantezza di tutto ciò che avveniva precedentemente. Ci ho trovato speranza e desiderio di rinascere, come un augurio per il genere umano che possa ricordarsi sempre di essere proprio questo: umano. Con pregi, difetti, emozioni e razionalità. 
Credo che sia stato proprio questo l’intento che ha dato la prima spinta verso la creazione dell’opera. Per ricordare di dare spazio ai sentimenti positivi e a metabolizzare, senza ingigantire smuovendo le masse, quelli negativi.

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