Review Party: Recensione di “Una nuova vita” di Danio Mariani

Una perdita straziante e improvvisa fa chiudere in sé stesso l’ex maresciallo Molinaro, che ora, costretto sulla sedia a rotelle da anni per un incidente, passa le sue giornate in solitudine. Ma una sorpresa giunge come un fulmine, racchiusa all’interno di una busta: tra le parole scritte con l’inchiostro s’imbatte nella voce silenziosa dell’ex commissario Vito Bonfiglio, che invita l’uomo a passare un po’ di tempo da lui, presso la sua residenza a Mondello.
Quella che potrebbe sembrare una rimpatriata dopo trent’anni, risulta essere all’occhio esperto del maresciallo un pretesto per qualcosa di non ben specificato. Infatti, passando oltre i convenevoli e le strette di mano, Bonfiglio arriva al dunque, chiedendo aiuto a Molinaro per un’importante indagine, volta a ricercare la giustizia nella tragica scomparsa della moglie Lisa.

Come possono due pensionati riuscire ad arrivare dove chiunque non si è mai spinto?

Per scrivere un buon thriller non è sempre necessario un eccessivo dinamismo o una soffocante frenesia e ciò è dimostrato dall’opera di Mariani che ha un ritmo narrativo inusuale rispetto a quello che ci si aspetterebbe dal genere.
“Una nuova vita” prende in contropiede il lettore facendolo prima ambientare nella psiche dei personaggi e poi gettandolo nel panico improvviso di fronte ai rischi che il protagonista deve affrontare. In tutto questo, a sorprendere è proprio la caratterizzazione di chi ci troviamo a seguire: Antonio Molinaro dimostra subito di non avere perso la professionalità, l’intuito e la concentrazione richiesti dal proprio lavoro, nonostante gli anni di pensione ormai si facciano sentire. La delicata operazione in cui si trova coinvolto richiede calma e sangue freddo, e lui ne ha ancora da vendere.
In un luogo da cui è impossibile scappare e che rende il tutto ancora più pericoloso, ci si trova di fronte a un importante bivio, rappresentato dal confine tra giustizia e vendetta. Spesso, per questo, ci si perde tra i sentimenti accecanti, che rischiano di peggiorare la psiche umana piuttosto che aiutarla a sanarsi dagli eventi negativi.
Antonio e Vito si ritrovano dopo molti anni uniti nella condizione di condividere la morte di qualcuno di importante, ma rimangono differenti nel modo in cui questa viene affrontata e rielaborata.
Eppure, qualcosa nel profondo spinge il maresciallo ad aiutare l’ex collega in un’impresa che sembra tanto disperata quanto persa in partenza, ma che potrebbe davvero essere un punto da cui ripartire con una nuova vita.

Il libro di Danio Mariani scorre veloce, come un treno in corsa di cui non si sa la meta, lasciando incollato chi legge dalla prima all’ultima pagina.

Review Party: Recensione di “È Solo Un Cane (Dicono) – La storia continua” di Marina Morpurgo

Nel giro di mezza giornata, potrete gustarvi con tutta calma una storia delicata quanto carica di intense emozioni. Sto parlando del libro “È Solo Un Cane (Dicono) – La storia continua” di Marina Morpurgo, che Astoria ripropone quest’anno in una nuova edizione ampliata.
A fare da sfondo alla vicenda è il piccolo paesino toscano di Gambassi, luogo in cui la famiglia della Morpugo trovò rifugio e salvezza durante l’occupazione nazifascista. Le foto presenti nel libro, in questo caso, sono molto più d’impatto rispetto alle parole dell’autrice, perché pregne di un’aura appartenente a un tempo relativamente lontano che ancora conserva i ricordi felici di una famiglia che è stata divisa dalle disgrazie della guerra.
Ad allietare l’atmosfera triste e pesante fa capolino il dolce muso di Blasco, il cane che rappresenta per la Morpurgo la luce in fondo a un tunnel buio in cui la mente si stava perdendo. Il loro legame d’amore è fulmineo e così forte da non essere da meno rispetto a qualsiasi altro legame umano, tanto da commuovermi in maniera sorprendente.
Sono molto affezionata al mondo animale e avendo io stessa un gatto sono consapevole del magico rapporto che s’instaura e che va oltre il semplice “padrone-animale”. Il libro di Marina Morpurgo è un inno alla potenza di questo amore, che è in grado di sanare ferite di cui spesso non abbiamo nemmeno coscienza. Non sopporto quando ci sono persone che trattano gli animali con superficialità: “È Solo Un Cane”, è una frase tipica che purtroppo si sente spesso sentire e che sminuisce tutto ciò che l’autrice invece vuole esaltare attraverso la sua storia e che io non posso fare altro che appoggiare.
Questo libro mi ha punta sul vivo facendomi barcollare costantemente sul baratro delle lacrime, per le riflessioni che ne scaturiscono e per i ricordi che si accumulano legati al proprio amore a quattro zampe. Per me dire addio è inconcepibile e ingiusto, cerco di pensarci il meno possibile per non stare troppo male e per non pensare a quando quell’inevitabile evento accadrà. Mi ci vuole ancora molta strada per accettarlo, ma ho trovato di grande conforto leggere quanto l’autrice ha voluto dire in merito.

Blog Tour: “Le parole lo sanno” di Marco Franzoso – Intervista all’autore

In questa tappa del Blog Tour dedicato al libro “Le parole lo sanno”, edito da Mondadori, approfondiamo la conoscenza del suo creatore, Marco Franzoso, che ringrazio infinitamente per il tempo che ha voluto dedicarmi. Di seguito trovate le domande poste e le risposte fornite.

Buongiorno Marco, grazie per avermi concesso questa intervista. Parliamo del suo ultimo libro, “Le parole lo sanno”. Si presenta come una storia che dal dramma ricerca con costanza, dedizione e passione un inno all’amore e al vivere la vita, che può essere trovato anche attraverso la lettura. Il protagonista, Alberto, si trova ad affrontare un momento molto delicato e lo fa cercando di aggrapparsi alle piccole cose. Qual è stato il processo creativo che l’ha portata alla realizzazione della trama?

Il lavoro è stato molto lungo, ci ho impiegato anni per potere scrivere questa storia. Fino a quando ho capito che non dovevo forzare i miei personaggi, ma dovevo lasciarli liberi, ascoltarli, scoprire la storia insieme a loro. Da quel momento tutto è fluito velocemente e naturalmente. È un po’ come accade ai miei due personaggi, Alberto e Flavia. Il romanzo prende il volo proprio quando smettono di forzare le cose e si mettono in ascolto l’uno dell’altra. 


Ci sono stati momenti in cui trovare le parole giuste è stato difficile?

Sì, particolarmente in un romanzo come questo, dove ogni dettaglio diventa fondamentale. La difficoltà maggiore è stata trovare la lingua, o meglio la voce con cui ciascuno dei miei due personaggi parlavano. Cioè quando ho capito chi erano davvero dietro le maschere che ciascuno dei due, almeno per un po’, hanno indossato. Ho dovuto smascherarli con calma, senza forzarli, senza che trovassero degli stratagemmi per difendersi. Poi, quando hanno avuto la mia fiducia, si sono lasciati andare e hanno fatto tutto loro. 

Il libro ha una caratteristica in particolare, che si scopre solo continuando a girare le pagine: è un fiume in piena di parole, disposte ordinatamente l’una accanto all’altra, quasi senza pause, se non brevi spazi vuoti occupati solo dal bianco della carta. Come mai questa scelta di narrazione, senza ricorrere alla classica suddivisione in capitoli?

Per entrare dentro il flusso della vita di Alberto, per dare continuità ai suoi pensieri e al passare del tempo. Volevo che il lettore vivesse insieme a lui queste sensazioni e la sua trasformazione.

C’è qualcosa di autobiografico in quello che scrive?

C’è sempre qualcosa di autobiografico in ciò che si scrive. Questo è un degli aspetti più belli della scrittura. Ti costringe, o meglio ti aiuta a vedere le cose che ti appartengono con maggiore lucidità. Vedi te stesso attraverso le storie che racconti. È sempre una scoperta.

Il suo stile di scrittura è caratterizzato, a mio avviso, da una sottile vena poetica che si espande all’interno della storia creando in ogni pagina un’atmosfera sospesa tra realtà e mondo onirico. C’è uno studio dietro?

Sì. Volevo che la storia fosse radicata nella realtà, nel nostro mondo, in una quotidianità che tutti conosciamo. Ad un certo punto, però volevo che i miei personaggi spiccassero il volo, scoprissero la loro parte migliore, pure se innestata dentro le difficoltà della vita. Trovassero la forza, o meglio il desiderio, di credere in se stessi e andare lontano. Sognare, cioè vivere, una vita migliore, quella che si meritavano da sempre di vivere. È un romanzo che apre, che fa sperare, che dà luce. Che fa ritrovare ciò che si era inavvertitamente perduto.

Chi è Flavia?

Flavia è una giovane donna, madre da pochi mesi. Vive una situazione difficile in famiglia e trova riparo e pace solo in un parco cittadino. È una donna che racconta, nel romanzo conosceremo i suoi segreti più intimi, e proprio grazie al racconto che fa di se stessa si trova. Anzi, trova una persona molto migliore di quanto pensava.


Quello che ci troviamo ad affrontare in queste settimane apparentemente interminabili è un periodo buio, soprattutto per la situazione specifica italiana. Mi trovo spesso a cercare nelle parole di coloro che con le parole stesse ci lavorano, un barlume di speranza e positività. Riesce a trovare le parole adatte a certe circostanze? 

È difficile. Ogni volta che ci si pensa e che si azzarda una risposta sembra sempre di sbagliare. È un momento molto complicato, e dal punto di vista sanitario inimmaginabile. Dal punto di vista personale, però, penso che possa rappresentare anche una occasione per molti di noi. Lo stesso che è accaduto ai miei personaggi, infondo, entrambi sono stati costretti a fermarsi. Ma ne hanno approfittato, e questo li ha aiutati a vedere il mondo e soprattutto se stessi in modo diverso. Si sono trovati. Credo che oggi più che mai abbiamo bisogno di buone storie, di buoni racconti. Credo che potremmo imparare molte cose su di noi da questa situazione così complicata.

Che cosa sanno le parole nella sua vita di tutti i giorni?
Le parole sanno tutto. Diamo troppo poco peso alle parole, siamo sempre più abituati a scriverle e a sapere che in breve tempo verranno dimenticate, dal prossimo post, dal prossimo messaggio di testo, dal prossimo messaggio vocale. Dovremmo avere più fiducia nelle parole e ascoltarle. Non solo quelle degli altri, ascoltare anche le nostre.

Review Party: Recensione di “L’arte sconosciuta del volo” di Enrico Fovanna

Un fatto drammatico e inspiegabile sta per sconvolgere la vita del paesino piemontese Premosello, che alla fine degli anni Sessanta viene colpito dalla tragica morte di due bambini. Ad aggravare la situazione è il sospettato numero uno, colui che non dovrebbe macchiarsi di peccati ma solo di atti d’amore.
Il piccolo Tobia rimane traumatizzato dall’accaduto. Non riesce a farsene una ragione e cresce con un peso che fa sempre più male. Anni dopo l’accaduto, Tobia ha una vita alla deriva e quasi nulla che lo trattenga ancora a Milano. Una chiamata, che gli annuncia il funerale di una persona a lui cara, lo porta a tornare a Premosello, nei luoghi dell’infanzia che lo hanno segnato. Perché il tempo può nascondere il passato, ma mai cancellarlo davvero.
Con uno stile incredibilmente poetico e coinvolgente, Enrico Fovanna illustra al lettore l’evoluzione di un uomo come tanti altri. Tobia, seppur segnato da una vicenda tragica a lui vicina, vive anche le gioie dell’infanzia, i primi innamoramenti, il calore della famiglia. I continui spostamenti e l’abbandono del paese natale lo rendono a mio parere un individuo scostante che non è davvero capace di mettere radici ma che desidera ardentemente amare ed essere amato. Al tempo stesso però l’ombra della morte non lo lascia mai, tanto che sembrerebbe che lui la inseguisse, attraverso il suo lavoro di medico legale.
Volendo fare chiarezza sul mostro che ha sconvolto il paese, Tobia torna per fare i conti con i tormenti passati e ritrovare i sogni e la spensieratezza di bambino che l’hanno sempre portato a sognare di volare in alto. E più che la risoluzione del giallo è proprio questo il fulcro del libro di Fovanna: ritrovare sé stessi e fare pace con gli scheletri nell’armadio, per poter spiccare il volo verso il futuro senza sentire l’impulso di voltarsi indietro.
“L’arte sconosciuta del volo” è un libro inaspettato e dal contenuto imprevedibile, che mi ha tenuto sul filo del rasoio facendomi riflettere sull’importanza dei ricordi.

Review Party: Recensione di “Al di là della nebbia” di Francesco Cheynet e Lucio Schina

Il filo invisibile del destino sta per legale indissolubilmente la vita di tre gentlemen inglesi. Il tutto a partire da una lettera, il cui mittente invita Edward Jenkins, Angus Cullen e Victor Cooper a partire dalla stazione di Skegness, in direzione di Fault City. Come ognuno non sa nulla del paese di destinazione, così tutti si conoscono solo a bordo del treno e si domandano chi sia colui che li ha convocati e per quale preciso incarico.
Mai come in questo caso l’espressione “l’importante è il viaggio e non la meta” è più calzante. Quanto può essere sospetto un treno completamente vuoto, che viaggia spedito verso una città che nessuno ha mai sentito nominare e che, mentre le ore passano, fa capitare fatti sempre più inspiegabili ai tre uomini, che iniziano a dubitare della propria mente e delle proprie percezioni?
Eppure, qualcosa di tangibile c’è: tutti hanno qualcosa da nascondere, nelle pieghe del loro passato. Ma quel qualcosa rischia di riemergere inevitabilmente, portando a delle conseguenze che non potevano proprio prevedere.
L’Inghilterra vittoriana di fine 1800 fa da sfondo a una vicenda oscura e inquietante, che si svolge con sempre più terrore di fronte agli occhi del lettore. La lettura è molto scorrevole e interessante, tanto da farmi giungere alla fine in meno di un paio d’ore dall’inizio. Ho trovato affascinante il fatto che l’intera opera si svolga nell’arco di una notte, ma che per questo non risulta troppo prolissa giusto per allungare il brodo.
Francesco Cheynet e Lucio Schina hanno avuto l’accortezza di lasciare l’intera storia nelle mani di chi legge, fornendo solo gli elementi essenziali per proseguire senza intoppi nella lettura, evitando di appesantirla con descrizioni superflue. Perché è questo che capita proprio ai tre protagonisti: non hanno nemmeno il tempo di capire cosa succede che ormai si trovano invischiati in qualcosa da cui non possono sfuggire: tornare indietro non è contemplato. Si sentono osservati ma soprattutto giudicati per qualcosa che soltanto loro dovrebbero sapere e il pensiero che qualcosa di inappropriato possa mettere a repentaglio la loro reputazione potrebbe farli impazzire.
“Al di là della nebbia” è una storia dall’inevitabile epilogo, che lascia nella mente domande che è giusto che non trovino una risposta. Mi ha ricordato le cosiddette “creepypasta”, brevi narrazioni di paura dal risvolto inquietante, scritte con lo scopo di lasciare sul lettore una patina invisibile di terrore e disagio.
Ha dell’incredibile che questa sia l’opera di esordio di due scrittori che hanno fin da subito la padronanza di ciò che vogliono raccontare e di dove vogliono andare a fare finire i propri personaggi.
Una lettura breve e godibile, consigliata da leggere di notte, con solo una piccola luce a illuminare la stanza.