Review Party: Recensione di “La bambina e il nazista” di Franco Forte e Scilla Bonfiglioli

« Ho sentito la speranza di una rinascita, quando si parlava di Sangue e Terra. Quando si diceva che saremmo risorti nella ricchezza dei nostri campi e della natura selvaggia, nella purezza dei nostri sogni e del nostro sangue che fa di noi la razza più forte, degna di guidare le altre.» S’interruppe per un istante, fissando nel vuoto, poi scosse la testa. «Tutto questo, Hans, non ha niente a che vedere coi sogni. Quello che c’è in quei rapporti ha a che vedere solo con gli incubi. »

Hans è un ufficiale delle SS, eppure non ha mai condiviso la minacciosa ideologia portata avanti con violenza da Hitler. Il suo desiderio è quello di avere una vita tranquilla, al fianco della moglie e della figlia Hanne, soffocando qualsiasi istinto di ribellione e piuttosto voltandosi dall’altra parte, pur di non avere problemi di accuse di tradimento.
Ma quando l’uomo riceve l’ordine di trasferirsi al campo di concentramento di Sobibór, la sofferenza che vede laggiù è insopportabile, così come le ingiustizie attuate nei confronti dei prigionieri. La conoscenza di Leah, bambina ebrea che le ricorda la sua piccola Hanne, lo porterà a rimettere in discussione tutto e a trovare finalmente il coraggio per agire come avrebbe da sempre voluto fare.
“La bambina e il nazista” è un libro che fa paura. Non solo per i contenuti, pieni di orrori che solo dal titolo si possono intuire, ma per ogni azione che i protagonisti devono compiere, per le conseguenze sempre in agguato, per un epilogo che sembra nero come il cielo coperto dai fumi delle bombe.
È angosciante addentrarsi nella storia e il solo scorrere delle pagine incute un’intensa agitazione, che tormenta e tortura in modo crudele. Eppure, non se ne può fare a meno. Perché dietro l’odio mostrato c’è sempre uno spiraglio d’amore e il lettore va alla ricerca proprio di quello, della speranza anche nella situazione più buia.
Romanzi come questo sono sempre quelli che pungono una parte della mia emotività che non può essere toccata se non da vicende reali immerse nei periodi più tragici della storia dell’umanità. È quasi un fastidio nascosto, ma che in realtà maschera lo sdegno e la mia incapacità di accettare che certe cose siano davvero state perpetrate in passato. Non voglio pensarci, non per far finta di niente, ma perché soffermarsi è semplicemente troppo doloroso. Al tempo stesso è così necessario amare e diffondere certe opere, perché ben presto saranno l’unica testimonianza che rimane di milioni di vite spazzate via in un istante.
Con un tono incredibilmente delicato, Franco Forte e Scilla Bonfiglioli sono stati in grado di descrivere un dramma tristemente noto senza dimenticare un messaggio d’amore, che diventa il simbolo dell’intera lettura. Ho concluso il libro commossa e con lacrime vere agli occhi, ne ero consapevole già a monte, ma felice di essermi arricchita interiormente grazie a due personaggi straordinari come Hans e Leah. 

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