Blog Tour: “Andate tutti affanculo” dei The Zen Circus – Presentazione e estratti

Chi è nato tra gli anno ’80 e ’90, avrà sicuramente sentito qualche canzone dei Zen Circus, che a distanza di diversi anni continuano ad emozionare folle di fan con il loro sound rock e assolutamente riconoscibile. Da settembre possiamo conoscere maggiormente il gruppo italiano attraverso questa autobiografia, “Andate tutti affanculo”, che riprende in tutto e per tutto l’abum del 2009, uno dei più emblematici della loro carriera, sia come titolo che come riferimento alla copertina. Di seguito, qualche informazione basilare e qualche breve e interessante estratto.

Continuate a seguire il blog tour per scoprire maggiori curiosità in merito!

Titolo: Andate tutti affanculo
Prezzo: €19
Editore: Mondadori
Genere: Biografia
Pagine: 321
Formato: Brossura
Lingua: Italiano
Data di pubblicazione: 10/09/2019
Trama:

Questo è un romanzo anti-biografico. Appino, Ufo e Karim – voce, chitarra e batteria degli Zen Circus – prestano i nomi e la vita a una storia che potrebbe essere una delle loro canzoni. Realtà e finzione si rincorrono in questo rocambolesco romanzo che racconta la nascita di una famiglia disfunzionale, quella di un gruppo di ragazzi che attraverso la musica cercano di definire se stessi, e la generazione di vecchi senza esperienza dalla quale vogliono fuggire. Dal primo concerto durante un’occupazione scolastica al primo tour, fatto di viaggi in camper e notti sotto le stelle a smaltire le sbronze; dalle canzoni scribacchiate durante le seghe da scuola al primo album vero e proprio; dai primi innamoramenti ai primi scottanti abbandoni; dalle prime amicizie fraterne alle bugie capaci di farle vacillare. Sullo sfondo di questa storia di prime volte ci sono un’Italia a cavallo fra due millenni – gli anni Novanta del berlusconismo e delle controculture, gli anni Zero del G8 di Genova e dell’11 settembre – e una provincia che, con i suoi lavori mal pagati, le sue famiglie scoppiate e le sue “ragazze eroina”, crea dipendenza, frustrazione e rabbia. Ma anche un amore cieco e disperato per la libertà.

Estratti:

1.

Corri, corri, corri!

E lui corre, cazzo se corre, sudato e scomposto come Marco Tardelli, con il torace in fuori e la fronte in alto. Peccato che all’ultima curva prima dell’uscita scivoli e vada a sbattere la spalla contro la porta del laboratorio di stenografia. Il dolore gli mozza il respiro e crolla a terra. Di lì a poco gli saranno addosso comunque, allora perché non farla finita e restarsene accasciato a riprendere fiato, chiudere gli occhi e aspettare l’inevitabile? Perché mancano solo dieci passi, forse meno, pochi metri e volerà sulle scale, giù in strada, verso il suo Piaggio Bravo parcheggiato sul marciapiede, e sfreccerà lungo le vie del centro di Pisa, via Garibaldi, Lungarno Buozzi, il Palazzo dei congressi e il viale alberato delle Piagge a un passo da casa, lui e il suo motorino scassato, con il sole in faccia, gli occhi sottili come un esploratore dei ghiacci e il sorriso di chi è sopravvissuto per un altro giorno all’inferno della prima superiore.

2. 

Sono passate due settimane, e di Belardi e Gallorini nessuno ha più saputo nulla. In città si parla soltanto dell’allerta meteo, dell’ingrossamento dell’Arno e della possibile chiusura dei ponti. Le acque hanno raggiunto gli argini e la protezione civile ha costruito delle paratie supplementari impilando centinaia di sacchi di sabbia. I vecchi dicono che non sarà l’alluvione del ’66, ma sintetizzano la situazione con un motto popolare: “Meglio ave’ paura che buscanne”. Meglio avere paura che prenderle. Come dargli torto.

3. 

L’occupazione durerà una settimana, con i dibattiti concentrati nei primi giorni e i concerti e gli innamoramenti negli ultimi. Suonano nel cortile, vestiti da donne. Perché? Per imitare i Nirvana? Può darsi, ma non solo. Vogliono distinguersi, fare qualcosa che non è mai stata fatta prima tra quelle mura. Li chiamano idioti, teste di merda, froci, ma loro se ne fregano. È assurdo che se ne accorgano solo quella sera, salendo sul palco, ma non si sono ancora dati un nome. «La filosofia zen dice che il Nirvana è lo stato di liberazione dell’io» butta lì il Belardi, accordando la sua chitarra. Gli altri lo guardano storto, pensando che sia impazzito. «Ci piacciono i Nirvana. Perché non ci chiamiamo Zen?»

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