Recensione: “Monochrome” di Alessandro Fusco

« A seconda dell’ora, fra quelle bianche pietre solcate di nero, fra massonici richiami e geroglifici scolpiti in un’epoca decadente ma colta, i segreti della vita le vengono rivelati nel sogno della morte, come se essa potesse divenire, senza ombra di dubbio, il passaggio per una realtà superiore e misteriosa, dove i sensi dell’umana condizione perdono ogni significato. »


Non sapere cosa aspettarsi da un incontro, rende l’incontro stesso una creatura vivente. Questo può sorprendere, infastidire, risanare o addirittura infliggere dolore. L’incontro è fatto di sguardi e parole, silenzi e attese. Il corpo si muove di conseguenza, accogliendo l’ignoto o lasciando che il vento lo porti via, verso altro.

Questa è la storia di come un incontro può donare amore e maledizione. Anime affini, destinate a ritrovarsi, ma che si scontrano contro il muro dell’incomprensione e della sventura.

Vladimir osserva Giorgia mentre guarda le foglie d’autunno. Chiede se le piacciono i loro colori, senza sapere che la ragazza vede da sempre il mondo in bianco e nero. 
Introverso e tenebroso. Alternativa e ribelle. 
Si studiano in un istante, pensando che non potranno mai avere nulla in comune. Ma vogliono incontrarsi di nuovo e ad ogni pensiero espresso percepiscono i cuori intrecciarsi, oltre l’età, oltre i fraintendimenti e le reali intenzioni.
Il loro legame supera il confine del visibile, sfociando in un sentimento di cui Giorgia può vedere i colori.

L’arte è il simbolo del confine tra realtà e illusione, tra vita e morte: una figura la cui storia è chiara nella mente dello spettatore, viene rigirata e ripresentata sotto una luce diversa. Si mostra senza pudore e osserva chi le sta di fronte. Senza giudizio alcuno. Come le statue di un cimitero, che assumono significati diversi e trasmettono sensazioni più o meno intense in base a chi le ammira. 

Scrivere un libro è un’arte, e “Monochrome” è l’esempio perfetto. Alessandro Fusco tesse una ragnatela di parole a metà tra la solidità del mondo e l’onirico, incantando e toccando corde che risvegliate danzano con la ragione e i sentimenti. Rivedersi in frasi scritte da qualcun altro è magico e inquietante al tempo stesso: esiste davvero un potere che unisce lo sconosciuto al conosciuto?
L’emozione invade fino ad accecare, al punto che non ci si rende conto di quella ragnatela sempre più stretta intorno al collo. Giunge la fine, ed è troppo tardi. Non ci si accorge delle ossa spezzate, ma della desolazione che subito dopo si palesa, crudele.
Negli occhi ancora aperti, lo sconvolgimento di quell’ultimo capitolo è tale da indurre un bisogno fisico del silenzio. Ci vogliono giorni senza altre parole, bloccati nel flash di un attimo come lo scatto fotografico, prima di tornare a respirare.
Prima di tornare a vivere in altri colori.  

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