Blog Tour: “Rondini d’inverno. Sipario per il commissario Ricciardi.” di Maurizio De Giovanni – Prima Tappa Recensione


« I sogni sono infami, brigadie’. Sono subdoli e traditori, i sogni. Ti convincono che la realtà, in fondo, non è del tutto vera, che si può cambiare, che si può migliorare. I sogni ti creano qualcosa nella testa e ti fregano, perché poi senza i sogni non riesci a campare piú. »


Questa è la prima volta che mi trovo ad inaugurare un Blog Tour: è un onore presentarvi l’ultima fatica di Maurizio De Giovanni, “Rondini d’inverno. Sipario per il commissario Ricciardi”, uscito il 5 luglio nelle librerie e edito da Einaudi.

TAPPE:

Dal 10 al 15 Luglio i blogger partecipanti vi proporranno delle interessanti tappe, tributo allo scrittore e alla Napoli degli Anni Trenta.

Come da titolo, tornano i casi del commissario Luigi Alfredo Ricciardi, che ormai da dodici anni ci tengono assiduamente compagnia.

Napoli, 1933. Il Natale è da poco passato e il Capodanno è imminente. Durante uno spettacolo teatrale, Michelangelo Gelmi spara alla moglie Fedora Marra. Quello che doveva essere un proiettile a salve, si rivela essere autentico: poco dopo, la donna decede. Per l’uomo si prospettano giorni tutt’altro che festosi, in cui farà di tutto per dimostrare la sua innocenza, nonostante sia stato lui a premere il grilletto.
Un caso apparentemente semplice; ma non per il commissario Ricciardi, tormentato dalle intense visioni dei morti poco prima di spirare e ancora alle prese con i sentimenti per Enrica: ora, forse, possono finalmente trasformarsi in qualcosa di concreto.
Parallelo a questo caso, Maione svolgerà delle indagini riguardanti un’amica del Dottor Modo, ridotta in fin di vita con violente percosse.

Anno dopo anno, è sempre più palpabile l’atmosfera malinconica tipica dei finali in grande stile: non manca molto al fatidico 2019, data per cui lo scrittore continua a ribadire l’intenzione di appendere la penna al chiodo.

Nonostante ciò, è impossibile non provare tensione dalla prima all’ultima pagina e avere timore di quel fatidico sipario per il modo in cui calerà sul protagonista.
Proprio per questo non voglio lasciare spazio a dettagli che potrebbero togliere stupore e attimi di mancato respiro indimenticabili.
“Rondini d’inverno” conferma ancora una volta la bravura di Maurizio De Giovanni nel tessere storie pregne d’emozione, con un inconfondibile stile e la complessa psicologia di tutti i personaggi.

Quando tornerà l’estate, prospetto una situazione ancora più bollente.

“Rondini d’inverno. Sipario per il commissario Ricciardi” è disponibile a questo link.

Recensione: “La strada” di Cormac McCarthy

« Tutto bene?, chiese l’uomo. Il bambino annuì. Poi si incamminarono sull’asfalto in una luce di piombo, strusciando i piedi nella cenere, l’uno il mondo intero dell’altro. »

Il mondo è vittima dell’umanità, l’umanità è causa del suo male. Ora non c’è più vita, l’uomo è costretto a sopravvivere in mezzo alle macerie, a difendersi dai suoi simili. “Homo homini lupus”, “Mors tua, vita mea”. 
Ecco cos’è l’apocalisse: lo specchio di un animale portato all’egoismo, alla crudeltà e alla ritrosia. Per avere salva la pelle non si può vendere l’anima o rinchiuderla in un quadro, ma combattere e vincere la selezione naturale nella speranza che passato l’inferno si ristabilisca un nuovo equilibrio. 
L’uomo e il bambino sono alla ricerca di questo equilibrio. Padre e figlio sono in cammino sulla strada verso un luogo dove il sole possa ancora scaldarli. Unici compagni: un carrello, una pistola, delle coperte e quel poco di cibo che riescono a trovare lungo il percorso. In fuga dalle bande di predoni che ormai di umano hanno ben poco, il padre racconta al figlio la propria vita, rievocando la madre morta diversi anni prima. Lo porta nella sua casa d’infanzia, visitano un supermercato in cui il bambino assaggia alimenti a lui tanto sconosciuti. Spesso devono nascondersi, devono combattere contro il freddo e le malattie. Ma rimangono sempre insieme, uniti dall’amore che provano l’uno per l’altro; “portano il fuoco” verso una meta senza nome, come loro, su una strada altrettanto anonima e interminabile, fino all’inaspettato epilogo.
Cormac McCarthy riduce tutto all’osso, come è giusto che sia: i dialoghi minimi, nemmeno scanditi dalla punteggiatura, le descrizioni lunghe racchiuse in frasi molto brevi. Come se anche la scrittura fosse stata danneggiata dalla catastrofe. L’insieme apparentemente povero rende preziosa questa storia semplice e ricca di emozioni.
Individuare ciò che è valido per un vero post-apocalittico è difficile, specie in un’opera dove un reale combattimento non è presente. Ma qui la lotta è lo svegliarsi ogni mattina e avere la forza di alzarsi e proseguire il viaggio; la fortuna di gustarsi un torso di mela e godere anche solo di una goccia d’acqua; la forza di non diventare come tutti gli altri che rinunciano alla ragione e si trasformano in altro. La lotta è quella fatta insieme, resistendo e sostenendosi a vicenda, con l’obiettivo comune di percorrere la strada e arrivare ad un traguardo.