Blog Tour: “Equinox” di Chiara Strazzulla – Intervista all’autrice

È per me un grandissimo onore ospitare oggi sul sito Chiara Strazzulla, un’autrice che conosco da sempre per le sue storie fantastiche e che con il suo nuovo romanzo, “Equinox” entra a far parte del catalogo di Gainsworth Publishing. Non perdetevi l’intervista gentilmente concessa per saperne di più!

Buongiorno Chiara e benvenuta nella tana della lontra, è davvero un immenso piacere, per me, ospitarti qui. Ti conosco fin dal tuo esordio e ammetto di essermi emozionata quando ho saputo dell’uscita del tuo nuovo libro! Parlaci un po’ del tuo percorso letterario e di scrittura.

Il piacere è mio e grazie di aver voluto ospitare me ed Equinox! Questo libro è speciale per me proprio per la strada che ho percorso per arrivarci. Ho cominciato a scrivere molto giovane, accostandomi al genere fantasy perché era un genere che consumavo molto in quel periodo e che mi ‘parlava’, in quel momento, più di altri. In un certo senso posso dire di aver avuto un’enorme fortuna a pubblicare così presto, perché la mia scrittura ha potuto crescere con me e incamminarsi in direzioni che altrimenti non avrebbe osato forse prendere. Dall’altro lato, non nego che l’ombra dei miei primi romanzi si sia sempre allungata sul presente: il confronto è inevitabile, quando per esempio ho provato a scrivere un romanzo fantastorico – il mio terzo – c’è stato l’azzardo di uscire dal tracciato e provare qualcosa che né io né i miei lettori ci aspettavamo. Poi, essendomi trasferita all’estero per fare un dottorato, sono stata ferma più a lungo di quanto avessi preventivato, per motivi soprattutto di tempo… e quindi Equinox ha finito per essere una ripartenza, ma anche da un certo punto di vista una rinascita. Per me è il libro del ritorno alla pagina dopo anni, ma anche il libro che ho potuto accostare da un punto di vista più puramente adulto e il primo passo di una nuova direzione su cui voglio continuare. 

Oggi arriviamo, quindi, al momento di “Equinox”, un romanzo che ti posso già dire di aver amato per la mescolanza perfetta di generi differenti, che arrivano a unire il reale e il fantastico con incastri solidi e logici. Com’è nata l’idea della trama?

Il protagonista, William Ashcroft, è in realtà uno dei personaggi più vecchi su cui io abbia mai lavorato: nella sua primissima bozza è addirittura contemporaneo al mio primo libro. Già da allora avevo una mezza idea di scrivere un thriller, e avevo delineato l’ispettore Ashcroft e un paio dei comprimari, come Mick Shelton e Jack Redding. Poi però sembrava che mancasse sempre qualcosa, e tutti i vari tentativi di scrivere questo libro non sono mai andati a buon fine; ognuno andava un po’ più avanti, e poi abbandonavo sempre… Poi, quasi per caso, sono andata a una conferenza che parlava dei Magnifici Sette cimiteri di Londra, durante un’iniziativa intitolata London Month of the Dead, che si occupa appunto di Londra occulta. L’elemento paranormale si è infilato nella storia e di colpo tutto ha cominciato ad avere senso. Da lì a ripensare il libro come un ibrido di fantastico e thriller il passo è stato breve. Poi, facendo ricerca, varie suggestioni intorno alla magia rituale hanno praticamente materializzato il personaggio di David Marko, e da lì in poi il resto della trama è venuto da sé.

Che rapporto hai con la lettura? Ci sono state delle opere che hanno influito in modo particolare sulla stesura di questo romanzo?

Leggere è forse l’unica passione che io abbia avuto prima ancora di scrivere, non ricordo un periodo della mia vita in cui non abbia avuto praticamente di continuo un libro in mano. Ancora adesso è una delle cose che faccio in automatico quando ho bisogno di rilassarmi, o durante un lungo viaggio in treno, o semplicemente durante un pomeriggio di pioggia. Sono sempre stata una lettrice onnivora, consumo un po’ di tutto – mi piace dire che leggo tutto quello che sta fermo abbastanza a lungo da permettermi di farlo – e quindi credo che anche nella mia scrittura finiscano suggestioni che arrivano da posti distanti tra loro. In Equinox ci sono delle atmosfere che devono qualcosa a Stevenson, degli elementi della prospettiva del protagonista che sono stati influenzati da King, ma c’è anche della saggistica, una punta di Lovecraft – soprattutto quando si rivela cosa stia succedendo davvero – e delle cose che mi sono rimaste dalla lettura di giallisti come Carlo Lucarelli o Fred Vargas.

Come dicevamo prima, “Equinox” lega un’ambientazione realistica a elementi particolari, che trascendono in qualche modo il terreno, nello specifico l’esoterismo, la mitologia, i rituali e la magia occulta. C’è una cura del dettaglio sorprendente, quali ricerche e studi hai intrapreso per ottenere questo risultato?

Dietro il libro c’è un buon anno e mezzo di ricerca, che, ammetto, è una delle mie parti preferite del lavoro di scrittura. C’è qualcosa di molto soddisfacente nell’esplorare l’universo in cui si muove una storia e scoprire allo stesso tempo qualcosa di nuovo. Da un lato c’è stato l’aspetto pratico di visitare fisicamente i luoghi del libro, una cosa che cerco di fare sempre se posso: per il precedente ero stata più volte a Venezia, questa volta ho passato tanto tempo a Londra, dove ho visitato i cimiteri, ma anche i locali di Soho, un tempio massonico nascosto all’ultimo piano di un albergo di Liverpool Street, i caffè di Earl’s Court… Un’altra cosa importante è stata leggere le fonti, soprattutto per quanto riguarda la magia rituale, che ha una storia lunga, complessa, e molto strutturata. Nessuna delle scuole di magia rituale che compaiono nel libro esiste realmente, ma tutte devono aspetti vari a cose prese dal mondo reale, dalla Golden Dawn a Thelema, dalla Chaos Magick alla Quarta via di Gurdjeff. Ho avuto occasione di parlare anche con persone che praticano davvero queste scuole di pensiero, oltre a leggere i testi che ci stanno dietro: è stata una finestra molto interessante su tutto un mondo di cui si parla poco.

Ci sono stati dei momenti in cui scrivere il romanzo è stato più semplice o più complesso?

La scena di Highgate ha richiesto svariate riscritture, e mi ha fatto sudare sangue, sia per la sua natura corale sia perché volevo che trasmettesse una certa atmosfera molto specifica… sia per l’aspetto pratico: a un certo punto ho passato tutto un pomeriggio a cercare di ottenere tutte le misure esatte delle distanze tra i vari elementi architettonici del cimitero! Un altro aspetto che ho trovato complicato da affrontare, ma anche una sfida interessante, riguarda il rapporto tra il protagonista, William, e suo padre, che è un elemento importante di fondo ma che volevo rappresentare senza scadere nel melodrammatico; alla fine penso di esserne uscita piuttosto bene. Mi sono molto divertita, invece, a scrivere le parti che mostrano i rapporti quotidiani tra William e i suoi colleghi: alcune delle battute riguardo a personaggi secondari come ad esempio l’agente Otis sono diventate già dei tormentoni tra me e i miei primi lettori. Un altro personaggio che mi piace molto scrivere è quello di Mick Shelton, che credo sia abbastanza simile a tutti noi da rendere molto semplice empatizzare con lui.

Hai mai pensato ai tuoi personaggi sul piccolo o grande schermo? Da chi verrebbero impersonificati?

Ogni volta che mi viene fatta questa domanda vado in crisi: non ho mai usato ‘prestavolto’ per i miei personaggi – solitamente li disegno, ma in generale li visualizzo nella mia mente senza chiedermi chi potrebbe interpretarli – e non so mai come rispondere. Alla fine, dopo lungo dibattito, ho concluso che William potrebbe essere interpretato da Paul Anderson, Mick Shelton da Colin Farrell (ammesso che qualcuno gli dia un paio di lenti a contatto verdi!) e Jack Redding, molto tentativamente, da Jonathan Rhys Meyers. David Marko, invece, è impossibile: non riesco davvero a immaginare nessuno che gli somigli!

Ringraziandoti per il tempo che hai dedicato a me e chiunque vorrà leggere questa intervista, ti faccio un’ultima domanda: sull’onda di questa nuova pubblicazione, ti stai già dedicando a un’altra futura storia?

Ho un paio di idee per le mani, e non escludo in un futuro prossimo di tornare a Londra da William e dagli altri: c’è un’altra storia con cui mi piacerebbe vederli avere a che fare. Prima, però, mi piacerebbe tornare di nuovo al genere fantastorico, che è un altro dei miei grandi amori, questa volta con una storia ambientata in un luogo più distante. Ho già presenti i personaggi e fatto una buona parte della ricerca, e non vedo l’ora di aprire questo nuovo capitolo.

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