Review Party: Recensione di “Non è questo che sognavo da bambina” di Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio

Ida ha sempre immaginato il mondo degli adulti come un posto in cui finalmente avere le possibilità per realizzarsi. Eppure, ora si trova incastrata nel ruolo di stagista per un’azienda che non avrebbe considerato, ma in cui ora si ritrova per riuscire a poter campare a Milano, una città che nemmeno le piace e che la fa sentire ancora più sola. Una scintilla improvvisa, un’occasione imperdibile, le fa però ricordare cosa sognava da bambina e ciò in cui si è impegnata negli studi, portandola a sentire in sé il desiderio di realizzarsi e finalmente tornare a volersi bene.

“Non è questo che sognavo da bambina” è un romanzo che è riuscito a entrarmi nelle viscere molto più di quanto io voglia ammettere. Già dal titolo, che con ossessione mi perseguita per il suo potente e pesante significato, sapevo che la storia avrebbe gravato tanto sulla protagonista quanto su di me.

“Stagista” è una parola che ho sentito tante volte, troppe, fino ad averne la nausea, fino a rifiutarmi di dare corda a chi per convenienza se la mette in bocca senza pensare a cosa davvero voglia dire. Posso parlarne per esperienza, quella stessa esperienza che ora mi tiene in catene e mi da l’impressione di dovermi sentire condannata a una vita che non sento mia e che non voglio che sia la mia.

L’eco chiassoso degli altoparlanti della metropolitana di Milano, i cui messaggi compaiono tra le pagine, rimbombano nella mia testa con l’esatto suono che attualmente emettono. È stato più impressionante del previsto, da brivido oserei dire.

Un quotidiano che sta stretto alla giovane Ida e di cui non è difficile comprendere le motivazioni. Insoddisfatta, ma costretta a proseguire per questa strada, la ragazza comincia a pensare che l’unico modo che ha per sopravvivere è omologarsi a questo ambiente, asettico ed egoista. “Adulto”, come tanti tristemente lo vogliono definire. Perché i sogni sono solo per i bambini, un qualcosa di poco conto, di fronte al doversi guadagnare da vivere.

Con semplicità ma al contempo una carica emotiva incredibile, le autrici descrivono molto bene cosa vuol dire entrare nel mondo del lavoro attualmente e quanto sia traumatico il distacco dalle aspirazioni, che lasciano il posto a un mondo che non accoglie e non lascia possibilità. Certo, non sempre è così che vanno le cose, ma di certo nella maggior parte dei casi non si può dire il contrario.

In tutto questo, però, Ida cerca di vedere sempre la luce in fondo al tunnel, fino a quando non le si presenta un’occasione di riscatto, un salto nel vuoto che per quanto spaventoso potrebbe portarla verso una condizione migliore. Oltre a delineare una condizione spietata che si espande a macchia d’olio, il romanzo riesce anche nell’infondere speranza a chi si rispecchia in tutto questo. È stato di vitale importanza ricordarmi chi sono e non posso fare altro che essere grata alle autrici per il loro lavoro.

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