Review Party: Recensione di “La leggenda del cacciatore di aquile” di Jin Yong

Cresciuto con l’armata del famigerato Gengis Khan, il giovane Guo Jing sembra avere un destino segnato da chi è più potente di qualsiasi uomo. Con l’Impero Song in ginocchio per le guerre, il ragazzo sarà costretto a tornare in Cina per affrontare un passato buio e drammatico, in cui il sangue della sua famiglia scorre copioso, alla ricerca di vendetta e al fianco dei più grandi guerreri ed esperti di arti marziali mai esistiti.

Immergermi in una lettura facente parte del genere Wuxia mi fa tornare indietro con gli anni, in un’altra vita quasi, quando le speranze di trasformare una passione per questa letteratura in un vero e proprio lavoro erano ancora vivide, prima di sfumare definitivamente. Questo però non mi impedisce di continuare a tenermi stretta la letteratura orientale, soprattutto quando è un editore influente come Mondadori a volerlo spingere.

Jin Yong non è un nuovo autore, per me: “Volpe volante della montagna innevata” è stata una lettura d’adolescenza fulminante, che seppur impegnativa mi ha davvero conquistato per l’ambientazione e il tipo di narrazione. Dopo aver perso le speranze di vedere altro pubblicato in Italia, ecco spuntare in libreria “La leggenda del cacciatore di aquile”, primo volume di una trilogia che mi è parsa subito promettente.

È doverosa una premessa: entrare nei meccanismi tipici della letteratura Wuxia, Xianxia e Xuanhuan non è affatto semplice, perché piuttosto diversa dai canoni che potremmo riconoscere più famigliari, proprio dal punto di vista strutturale della narrazione. Con questo tipo di storie ci vuole molta pazienza e concentrazione, basta davvero un niente per perdersi e capire poco di ciò che si sta leggendo.

Quando però si entra in confidenza, il senso di epicità delle storie esce da mente e corpo regalando delle emozioni intense e incredibili. Fulcro del romanzo di Jin Yong è l’azione: le scene di combattimento sono precise e così ben descritte che sembra di assistere a un film di arti marziali con cui è impossibile non rimanere a bocca aperta. Per certi aspetti, l’opera diventa un vero e proprio libro d’addestramento, in cui vengono riportate minuziosamente le tecniche di combattimento, di respirazione, di concentrazione.

L’aspetto storico che caratterizza la Cina del 1200 è ben inserito nel contesto fantasy, riportando a dovere ciò che l’immaginazione ha mescolato con la realtà. Il dramma inevitabile viene accostato a una buona dose di umorismo e piccoli siparietti spensierati, in cui sembra più facile interagire e conoscere meglio i personaggi.

Il viaggio che i lettori affrontano con il protagonista prende vita da una sete di vendetta primordiale per poi trasformarsi in riscatto e redenzione, dando importanza a quale sia il buon senso di ogni individuo, che dovrebbe mirare alla pace anziché alla continua guerra, sia quella fisica che quella mentale, propria dell’animo. Lasciar andare la negatività è il modo migliore per vivere e Guo Jing lo imparerà col tempo e sulla propria pelle.

“La leggenda del cacciatore di aquile” è un ottimo romanzo che fa da apripista a una storia che penso toccherà vette sempre più alte. Non vedo l’ora di poter continuare a leggere le avventure di Guo Jing e dell’armata che lo ha reso grande.

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