Review Party: Recensione di “Di luce propria” di Raffaella Romagnolo

Antonio Casagrande è solo un bambino quando è consapevole che non potrà mai esserci amore nella sua vita. Abbandonato in un orfanotrofio, trova impensabile che un adulto possa volerlo, vittima di una semicecità che lo priva della vista da un occhio. Eppure, Alessandro Pavia lo prende con sé, facendogli scoprire il meraviglioso mondo della fotografia. Proprio da qui, Antonio osserverà tutto da un punto di vista che mai avrebbe pensato appartenergli e che svilupperà il suo talento per l’immortalare la bellezza che gli si presenta davanti in un semplice ma potente scatto.

Quello di Raffaella Romagnolo non è solo un romanzo di vita appassionante e commovente, ma anche uno spaccato importante sull’Italia del 1850. Un’epoca in cui la nostra nazione non era nemmeno l’ombra di ciò che è ora, forse solo un’ambizione nei pensieri del famigerato Giuseppe Garibaldi. Un momento storico tutt’altro che pacifico, rimasto impresso nella nostra memoria anche e soprattutto grazie alle fotografie che ne sono diventate indelebile testimonianza.

Proprio in questo contesto, si affaccia alla vita il giovane Antonio, che da piccolo orfano trova la possibilità di costruirsi un futuro grazie proprio alla sua indole per le inquadrature, la luce, il momento perfetto. Un talento, un dono, forse dato proprio da quell’occhio che ha sempre ripudiato e maledetto.

La Romagnolo accosta bene ogni elemento realistico e di finzione attraverso uno stile narrativo incredibilmente scorrevole e carico di emozioni, che rende la lettura coinvolgente fin dall’introduzione. Seguendo fase per fase la vita del protagonista, in qualche modo si cresce con lui, viaggiando nella storia italiana sotto un punto di vista particolare e accurato in ogni dettaglio.

“Di luce propria” diventa così un’opera indimenticabile, in grado di impartire insegnamenti preziosi sul nostro passato e sulle possibilità che potremmo incontrare sul cammino verso il futuro.

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