Review Party: Recensione di “Il diritto di opporsi” di Bryan Stevenson

« Quando consentiamo che gli altri vengano maltrattati siamo tutti coinvolti. L’assenza di compassione può corrompere la dignità di una comunità, di uno Stato, di una nazione. Finché tutti soffriamo della mancanza di pietà e condanniamo noi stessi tanto quanto rendiamo vittime gli altri, la paura e la rabbia possono renderci vendicativi e violenti, ingiusti e scorretti.  »

Attraverso la sua opera, “Il diritto di opporsi”, l’autore fa un’esamina minuziosa della storia dell’incarcerazione dal momento in cui lui, per primo, ha a che fare con un prigioniero la cui condanna a morte è stata posticipata di almeno un anno. Quel primo incontro è per lui illuminante e sorprendente, e lo spinge a continuare sulla strada della Legge, ma soprattutto a inseguire i diritti umani che questo comporta. Le pene capitali Americane sono brutali, retrograde e ingiuste soprattutto agli occhi di chi ha vissuto in un paese dove la morte per i crimini non è contemplata. Lui però ha sempre vissuto in una realtà in cui questo è normale, ma non così tanto come parrebbe.
Al fianco di questa tematica, Stevenson vive inoltre la lotta al razzismo, che può toccare con mano essendo lui nato con la pelle di un colore che ha sempre suscitato il pregiudizio di tanti e le reazioni violente di molti, più di quanti se ne possa quantificare. L’autore fa di tutto questo una ragione di vita e lotta ogni giorno per rendere umano un sistema giudiziario che non riflette l’umanità, la carità, la fiducia nel prossimo. L’avvocato cerca di denunciare i sotterfugi per incastrare un imputato, la falsificazione di prove, i cavilli a cui aggrapparsi sia per accusare che per difendere, su un costante filo del rasoio che trasmette ogni istante di tensione e timore per il futuro.
“Il diritto di opporsi” è una riflessione sul significato di essere umani e il tutto viene trasmesso attraverso un linguaggio alla portata di tutti, senza esagerare con tecnicismi che solo gli “addetti ai lavori” possono davvero capire. Questa è un’opera per tutti e che tutti dovrebbero leggere almeno una volta, nonostante un ritmo lento dato dall’analisi minuziosa della storia stessa. Non è una storia semplice da seguire, richiede molta concentrazione e impegno, ripagati alla fine da un senso di speranza che potrebbe davvero cambiare il modo di pensare generale e incoraggiare a non abbassare la testa di fronte alle ingiustizie.

Review Party: Recensione di “La nube purpurea” di Matthew Phipps Shiel

« L’interesse astratto che l’umanità, per la sua mera sete di conoscenza, aveva sempre nutrito nei confronti di quella regione ignota, ora era stato improvvisamente intensificato di migliaia e migliaia di volte da un nuovo interesse più concreto: quello, immenso, per il denaro»

In missione verso il Polo Nord, il medico Adam Jeffson scoprirà ben presto quanto le ricerche  del suo gruppo di spedizione siano portatrici di un’inevitabile catastrofe di portata mondiale. Questo perché lì ha sede un luogo proibito, che se attraversato condannerà l’intero mondo a un destino di scomparsa immediata. Quando Adam, per circostanze misteriose, scopre non solo che tutto l’equipaggio è morto ma di essere l’unico sopravvissuto dell’intera razza, non può fare altro che osservare una nube violacea coprire drammaticamente il cielo in ogni parte del globo, ammalando così il mondo.
“La Nube Purpurea” è un libro oltremodo illuminante sulla condizione dell’umanità contemporanea, segno che anche se sono passati trent’anni dalla sua prima pubblicazione, l’autore ha dimostrato una lungimiranza al limite del profetico. Il viaggio del protagonista si compone di un sentiero metafisico all’interno del pensiero globale ed eviscera i punti positivi e negativi che caratterizzano ognuno di noi. Lo scrittore è riuscito a stilare quello che mi è parso a tutti gli effetti un saggio filosofico volto a criticare la società, veicolando ogni più piccolo messaggio attraverso una storia fantascientifica che sa intrattenere, far riflettere e lasciare senza fiato.
La descrizione della solitudine provata da Adam, che col tempo si trasforma in una feroce pazzia, è quanto di più particolare e angosciante che io abbia letto negli ultimi tempi. Il degrado del paesaggio naturale e artificiale, lo spegnimento sempre più frenetico delle forme di vita, la resa mentale cui lui sembra sempre voler cedere, rappresentano una condizione di vita impossibile da sopportare, ma per cui non perdiamo la speranza di un miglioramento. Adam, il cui nome racchiude a sé il primo uomo dell’Eden e l’ultimo, in questo caso, ad assistere all’estinzione di massa, ritorna ad essere un’origine universale da cui tutto deve ricominciare. Basta ascoltare i segnali della Terra, sussurrati durante una tempesta, nello scroscio del mare, nei movimenti del terreno o nel calore del sole. 

Review Party: Recensione di “Voci nella nebbia” di A.E. Pavani

« L’aria parve ondeggiare davanti a loro, aprendosi e riaddensandosi a più riprese, come un gioco, mostrando più chiaramente il profilo dell’isola. Un soffio gelido accarezzò la superficie dell’acqua e risalì il fianco della barca, investendoli sul viso e insinuandosi tra i capelli come lunghe dita invisibili. »
 
Con un’isola misteriosa a sovrastare l’orizzonte, Lisa, Elena, Matteo, Rosa e Maria si buttano all’avventura a bordo della loro barchetta, per esplorarla e soddisfare la propria curiosità. Non possono immaginare che, guardando da più vicino la folta vegetazione, vengono osservati a loro volta da delle fotografie di occhi. Un tassello importante per la vita presente di Lisa, che da detective della Omicidi inglese si trova ad avere a che fare con un terrificante aggressore, di cui non ricorda nulla ma che la sua mente cerca costantemente, nei sogni che lei fa notte dopo notte.

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Review Party: Recensione di “Quando Helen verrà a prenderti” di Mary Downing Jacob

« Dall’espressione sul suo viso immaginavo che dentro di sé non sperasse altro che assistere a un’orribile scena di violenza domestica con grida e spargimento di sangue. »

La paura lega i cuori in un modo sempre totalmente inaspettato. 
Quando la loro madre decide di trasferirsi a Holwell, nella casa in cui abita il nuovo marito Dave, i figli Molly e Michael, sanno già quanto insensata sia questa scelta. La campagna sconfinata domina il paesaggio, circondando in un modo quasi soffocante la chiesa abbandonata al fianco della casa e il cimitero, poco lontano. Come se questo già non bastasse, l’elemento più inquietante si trova proprio all’interno della dimora: la figlia di Dave, Heather, si aggira silenziosa tra le stanze, alla ricerca di un guaio o un qualcosa di più terribile cui assistere. Quando la bambina inizia a minacciarli, sostenendo di essere in contatto con lo spirito della piccola Helen, l’atmosfera si raffredderà come la più gelata di tutto l’inverno.
“Quando Helen verrà a prenderti” è una storia dell’orrore dedicata ad un pubblico giovane, ma che riesce egregiamente ad intrattenere e inquietare anche i lettori più adulti. Il sovrannaturale mi terrorizza, perché non se ne capiscono le logiche e sembra che la vendetta e il tormento siano una costante per gli spiriti rimasti bloccati in un luogo fisico. Scavando più a fondo si esplorano storie oscure e terribili, spesso così ingiuste da non dover mai succedere.
Il libro di Mary Downing Jacob mi ha ricordato in parte gli elementi che contraddistinguono i racconti della collana “Piccoli Brividi” con una componente più seria e matura che l’avvicina di gran lunga a una trama del calibro di King, Barker o Lovecraft. Dimenticherete di star assistendo a vicende che anche i ragazzini possono leggere e verrete inglobati in una sfera di pura paura che coinvolge, intrattiene e si appiccica alla pelle, come il sudore freddo che corre lungo la schiena.

Review Party: Recensione di “La campana in fondo al lago” di Lars Mytting

« Furono chiamate le Campane Sorelle e producevano un suono d’intensità e profondità ineguagliabili, che si propagava in tutta la valle e risaliva le montagne echeggiando contro le pareti rocciose. »

In un’atmosfera tra il reale e il magico, ha luogo una storia dai tratti delicati e contemporaneamente inquietanti. Una storia che ha a che fare con la vita, la morte e l’unione di due gemelle che porta alla creazione di leggende e profondi precetti. Gunhild e Halfrid, legate nel corpo e nello spirito, in un fisico che le rende un tutt’uno dai fianchi in giù, ben volute dalla famiglia Hekne, ma in sospensione tra il mondo in cui sono nate e quello personale, segreto a tutti.
In loro onore vengono create le Campane Sorelle, forgiate da tutto l’argento che il padre possiede. Vegliano attraverso il loro canto sul villaggio di Butangen, diventando il fulcro di una storia più lontana nel tempo, ma al tempo stesso vicina per il sangue che scorre nelle vene di Astrid, discendente delle due gemelle. Quando al paese giunge il nuovo sacerdote, deciso a eliminare le campane a fronte di una chiesa moderna, la donna farà di tutto per imporsi e ricordare a tutti l’importanza dei valori che le sue antenate hanno saputo trasmettere.

In un clima suggestivo che solo il Nord Europa può infondere, Lars Mytting offre una nuova esperienza di lettura nel suo stile inconfondibile a cavallo tra un piano astrale e terreno che si amalgamano alla perfezione creando un effetto delicato e poetico.
La storia non è frenetica, si prende il tempo di presentarsi a chi legge, con ritmi per nulla serrati, ma necessari a far comprendere il più possibile ogni dettaglio. La lettura è davvero piacevole e sa emozionare attraverso espedienti inaspettati e una protagonista che unisce elementi come il sogno e la forza d’animo, in un mix che non si può non apprezzare.