Review Party: Recensione di “Il ladro di tatuaggi” di Alison Belsham

« Nessun tatuatore è perfetto. Tutti prima o poi commettono un errore. E Marni Mullins non faceva certo eccezione. Il problema era che un errore, nel caso di un tatuaggio, è permanente.  »

“Il Tatuatore” è stato uno dei thriller migliori letti l’anno scorso. Quest’anno, Alison Belsham ci propone un sequel del tutto inaspettato: “Il ladro di tatuaggi”.
Tornano le vicende di Marni e Sullivan, alle prese con un nuovo killer, che fa riaffiorare alla mente ciò che è successo un anno prima. Ora però, Marni è ancora più coinvolta, in quanto il figlio Alex viene accusato di aver ucciso la fidanzata.
Diversi particolari collegabili ai tatuaggi fanno nascere la certezza che qualcosa di oscuro sia tornato ancora una volta a colpire.
Sono davvero felice di poter assaporare ancora una volta le atmosfere inquietanti ben orchestrate dalla scrittrice. “Il ladro di tatuaggi” non è da meno rispetto al suo predecessore, risultando una lettura piacevole e avvincente. Ancora una volta è interessante indagare insieme ai protagonisti, che pur consapevoli di brancolare non perdono la forza per consegnare alla giustizia l’ennesimo criminale. Inoltre, è interessante svelare i significati dei tatuaggi nella storia, come un libro all’interno di un altro libro. Quello dell’inchiostro sulla pelle è un mondo a me tanto sconosciuto quanto affascinante, ma sicuramente come elemento di un thriller confermo di trovarlo davvero azzeccato.
Sono curiosa di scoprire cos’altro avrà in serbo Alison per il futuro. Spero annuncino presto una nuova opera.

Review Party: Recensione di “Ami” di Edoardo Erba

« “Questa è storia” ha detto un signore del bar coi baffi e gli occhiali. E io ho pensato che forse quando c’era la storia, quando arrivava la storia, tutti si volevano più bene. Ma non perché si innamoravano o cose del genere. Era solo perché la storia quando arriva è come un mostro e fa paura.  »

Amina è poco più che una bambina, eppure con i suoi quattordici anni sente già di poter essere un’adulta. Per questo è convinta di sapere tutto della vita, soprattutto dell’amore, da cui viene stravolta. Il ragazzo che le allieta le giornate prende possesso delle sue convinzioni, fino a farle prendere la drastica scelta di abbandonare tutto per seguire lui.
Ma Ami non può ancora sapere che dove l’amore semina, purtroppo la crudeltà brucia. Così, dopo una notte di sentimenti fasulli, la ragazza si ritrova da sola, lontana da casa, in attesa di un figlio. Da qui, comprende davvero il significato di essere adulta e del peso della responsabilità, soprattutto quando c’è un’altra vita a dipendere da lei. Venduta, sfruttata, in continua fuga. In viaggio da un paese all’altro, nella speranza di trovare la pace e poter finalmente restare in un luogo degno di essere definito casa.
Edoardo Erba è al suo esordio letterario, eppure “Ami” trasuda una maturità di scrittura davvero spaventosa. Non è facile digerire molte delle situazioni che la protagonista deve affrontare, spesso fanno male perfino fisicamente, molte altre ancora è l’imbarazzo che fa davvero soffrire. Imbarazzo per vicende che non è così insolito sentire alla televisione, sommerse da commenti negativi che distruggono l’essere umano e lo condannano a una vita di pregiudizi e accuse, prima di arrivare alla morte. “Ami” vuole fare chiarezza sul significato di essere una persona, con scelte giuste e sbagliate alle spalle, che cerca solo un modo per riscattarsi e gridare al mondo che anche lei è viva ed è QUI, esattamente come tutti coloro che fanno finta di non comprenderla.
Il romanzo scorre piacevolmente, imprimendo nel lettore emozioni e riflessioni che rimangono. Sarebbe bello se “Ami” rappresentasse un motivo di dibattito costruttivo, per riscoprire in sé la propria Amina nascosta e spesso dimenticata.
Una lettura consigliata e più che mai necessaria per il tempo in cui viviamo. Prima che diventi storia e quindi passi, prima che sia troppo tardi.

Review Party: Recensione di “Il re malvagio” di Holly Black

« Devi essere abbastanza forte da colpire e colpire e colpire ancora senza stancarti. La prima lezione è acquisire quella forza. Farà male. Il dolore fortifica. »

Tornano le vicende di Jude Duarte nell’oscuro mondo fatato creato dalla meravigliosa Holly Black.
“Il re malvagio” ha rafforzato l’opinione positiva che già avevo del personaggio di Jude. Liberatasi dalle catene dell’essere una semplice preda, ora afferra saldamente le redini del suo destino diventando padrone e, a sua volta, predatrice. Potere e politica sono elementi che si rincorrono e si scontrano a ogni capitolo, facendo ricadere le conseguenze sulle persone amate. Il desiderio di proteggere la sua famiglia diventa il fulcro del suo potere, che mai come adesso è un tema centrale della trilogia. Un controllo così grande, però, può portare a danneggiare sé stessi: la volontà di proteggere gli altri può forse trasformarti in un essere che brama per sé il potere? Jude si ritroverà faccia a faccia con sfide e prove che metteranno a repentaglio i suoi obiettivi.
Senza contare il rapporto tra lei e Cardan, che sembra sempre più vacillare sotto il peso degli eventi, fino a rompersi, ricomporsi, perdersi e ritrovarsi. Non si può fare a meno di emozionarsi di fronte anche agli altri personaggi, come Madoc, o le sorelle Taryn e Vivian. Gradualmente, ognuno cerca di emergere, sgomitando con egoismo, per mostrare una nuova versione di sé stessi.
L’immaginazione e il talento di Holly Black si mostrano ancora una volta in una sua opera, dalla trama intrigante allo stile scorrevole e coinvolgente. Non si smentisce affatto, e porta avanti il suo mondo oscuro popolato da creature tanto affascinanti quanto crudeli, risucchiando il lettore in un vortice oscuro e terrorizzante da cui si può uscire solo arrivando all’ultima pagina. 
L’attesa per il prossimo libro è, se possibile, ancora più snervante di quanto non sia stata per l’uscita di “Il re malvagio”. Ringraziando la Mondadori per aver creduto ancora una volta nella Black, ora si attende con trepidazione l’uscita di “Queen of nothing”.

Review Party: Recensione di “La bambina del lago” di Loriano e Sabina Macchiavelli

« Un’altra attività occupa il suo tempo: la scrittura. È meno assidua della lettura e si limita alla stesura di appunti che mai riprenderà per ampliarli e dar loro la forma di un romanzo o saggio. Lo sa, eppure non riesce a fare a meno di trasformare in scrittura pensieri, ipotesi, sogni, fantasie e in genere tutto ciò che nasce, si sviluppa, e spesso muore, nella sua mente. »

Questa è la storia di delicati quanto reali avvenimenti. Ha origine, come spesso capita, dalla nascita di un figlio e da una delle decisioni più importanti in merito: scegliere il nome perfetto. Gialdiffa e Astorre amano le favole e ne rimembrano di tanto in tanto i passi. L’illuminazione data da Le mille e una notte, li porta a chiamare la loro piccola in un modo particolarmente curioso: Aladina.
La bambina cresce con la meraviglia del mondo negli occhi. Ma la scomparsa prematura della madre, porta lei e il papà a Paese Nuovo, sugli Appennini. Qui non c’è anima che non abbia conosciuto Gialdiffa, tutti sono così pronti ad accogliere la famiglia distrutta dalla perdita e a rivedere in Aladina qualcosa della donna. Per la bambina non è affatto facile affrontare il dolore e il cambiamento. Si sente inadatta a ogni situazione, fuori luogo in mezzo a persone che non conosce e che pensano di conoscerla. 
Ad andarle in salvo sarà qualcosa di incredibile e inaspettato: la foresta e i suoi abitanti le parlano e la comprendono, come ormai da tempo non sentiva. Leggenda, tradizione, realtà si mischiano in un connubio mistico e a tratti magico verso la ricerca della serenità e del futuro.
In “La bambina del lago” ho trovato una freschezza e spensieratezza che da tempo non vedevo in un libro. Le introduzioni ai capitoli e le descrizioni delle scene mi hanno ricordato in qualche modo la leggerezza e la spontaneità che spesso hanno caratterizzato i racconti di Italo Calvino, che con semplicità veicola dei messaggi molto potenti. Loriano e Sabina fanno esattamente questo: attraverso gli occhi dell’innocenza affrontano tematiche positive e negative che descrivono il ciclo di una vita, arricchendola di esperienze e lezioni che colpiscono il lettore, lasciandolo riflettere a ogni capitolo e così, fino al finale.

Esistono tanti libri che trattano argomenti legati all’infanzia, l’adolescenza e i traumi che possono intaccare la crescita. Sicuramente “La bambina del lago” rappresenta un tassello prezioso e meritevole per parlare di questi temi in un modo originale e piacevole.

Review Party: Recensione di “La corte di ali e rovina” di Sarah J. Maas

« Stavo lavorando sul modo in cui la luce solare illuminava le venature delicate di un petalo di rosa, tentando di non pensare che una volta avevo visto la stessa immagine su un paio di ali Illyrian, quando la porta si aprì. Finsi di sembrare concentrata sulla pittura, ingobbendo un po’ le spalle, inclinando la testa. E recitai ancora meglio quando mi voltai lentamente, come se mi sforzassi sul serio di staccarmi dal quadro. Ma la vera lotta fu costringere la mia bocca a sorridere. Mi convinsi di sembrare sincera. Mi ero esercitata allo specchio. Di continuo. »
 
“La corte di Ali e Rovina” mette fine alla storia di Feyre, a cavallo tra mortali e Fae, divisa tra fedeltà e amore. Sarah J. Maas ci ha incatenato ha sé con vicende frenetiche e sentimenti intensi e contrastanti. L’avvicendarsi dei fatti che sconvolgono la vita della ragazza determinano non solo il suo cambiamento verso una nuova consapevolezza di sé e maturità, ma anche per un nuovo destino che caratterizza l’intera realtà in cui lei vive. Tutto questo senza badare a spese sui colpi di scena, che si susseguono uno dopo l’altro senza dare tregua, senza possibilità di scampo. Feyre non è mai stata una donna fragile, ma mai come adesso sprigiona una forza invidiabile, quasi spaventosa. Tamlin, Rhysand e tutti gli altri personaggi che ruotano attorno a lei, schierati da una parte piuttosto che l’altra, accrescono maggiormente il suo spirito selvaggio e indipendente, che sia per azioni volte a danneggiarla piuttosto che sostenerla.
Il terzo libro non ha nulla da invidiare ai suoi predecessori, in un modo originale è in grado di trasmettere emozioni positive e negative, in un modo crudelmente genuino, che fa pensare automaticamente che l’epilogo non poteva essere altro che quello descritto.

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